La leggenda dei fantasmi di Castel Belasi

19 agosto 2021

 

I castelli del Trentino sono sempre stati una fonte di ispirazione per miti e leggende. 

In Val di Non, nella frazione di Segonzone, si trova Castel Belasi, una fortezza medievale da pochi anni valorizzata grazie al lavoro della Pro Loco di Campodenno. Su questo luogo suggestivo esistono racconti popolari tramandati di generazione in generazione. Il racconto seguente è stato pubblicato nel libro “Castel Belasi e i Conti Khuen” dal Comune di Campodenno in collaborazione con la Cassa Rurale Tuenno-Val di Non e con Mondadori Printing S.p.A. di Cles.

 

 

Un garzone che lavorava saltuariamente sulle tenute dei conti fece circolare una storia da brividi della quale fu protagonista egli stesso. I fatti accaddero una notte d’inizio estate, negli anni tra le due guerre, quando al castello viveva il conte Teobaldo.

Una mattina tre giovani che prestavano servizio per i castellani furono incaricati di condurre alcuni capi di bestiame sui pascoli di malga Lovertina, dove gli animali avrebbero trascorso il resto dell’estate. Di buon mattino gli uomini trassero i bovini dalle stalle del castello e s’incamminarono verso la montagna.

 

Attraversarono i paesi di Segonzone e di Lover e una volta giunti sul Doss de Grum presero il vecchio sentiero del Turion che menava dritto alla malga. Il sentiero s’inerpicava scomodo e ripidissimo tra i boschi di faggi e carpini e gli animali procedevano a rilento. Era una mattinata calda e afosa e le mosche e gli insetti erano particolarmente invadenti e fastidiosi. Superato il tratto più difficile i tre pensarono bene di rifocillarsi sedendosi all’ombra dei primi abeti. Legato il bestiame, tirarono fuori dalle loro bisacce del pane, del formaggio e un fiaschetto di vino che il conte aveva dato loro prima di partire. Visto che non c’era nessuno che poteva redarguirli fecero una lunga sosta ristoratrice. Rimasero a lungo seduti sull’erba, al riparo della calura estiva, chiacchierando del più e del meno e bevendo quasi tutto il vino che portavano con sé.

 

Quando ripresero il lento cammino ebbero però dei cattivi presagi. Dopo l’afa mattutina si era alzato un vento tiepido e umido che a grandi folate sferzava le cime degli alberi, mentre a sud s’innalzavano enormi castelli di nuvole scure. In montagna, si sa, il tempo è mutevole e imprevedibile e i tre giovani conoscevano bene i segnali di  un brutto temporale in arrivo. Erano in ritardo e cercarono perciò di accelerare il passo. Giunsero alla malga solamente nel tardo pomeriggio e lasciarono il bestiame nelle mani del pastore. La tempesta era ormai imminente. I tuoni echeggiavano ovunque e sulle cime più alte cadevano già le prime gocce di pioggia. Furono pure tentati di chiedere ospitalità per la notte al malgaro. Tuttavia la mattina seguente avrebbero dovuto lavorare nelle vigne del castello e il conte li stava aspettando. Perciò decisero di scendere a valle a spasso spedito.

 Un violento acquazzone li colse dopo pochi minuti. Tentarono invano di ripararsi sotto gli abeti, aspettando la fine del temporale, ma la pioggia persisteva intensa e incessante. Non ebbero altra scelta che scendere sotto quel diluvio.

 

I tre uomini fecero ritorno a Castel Belasi soltanto nella tarda serata, infreddoliti e bagnati fradici. Il conte offrì ai suoi lavoranti un piatto caldo, un paio di bicchieri di vino e un letto in cui dormire. Misero ad asciugare i loro vestiti ancora inzuppati d’acqua accanto all’unico focolare ancora acceso, sperando di ritrovarli asciutti il mattino seguente. Era ormai estate e le grandi stufe ad olle del castello non venivano più accese da settimane.

 

I tre si svegliarono all’alba. Era una mattina serena e limpida e il calore del sole in breve tempo avrebbe asciugato le viti permettendo loro di lavorare. Quando presero in mano i loro abiti ebbero però una brutta sorpresa. Erano ancora bagnati. Decisero perciò di cercare qualche vecchio paio di pantaloni e delle camicie negli armadi e nelle cassettiere del castello. Cercarono ovunque trovando poco nulla. Uno dei tre ebbe l’ardire di frugare nella sacrestia della cappella, dove trovò i vecchi paramenti degli antichi cappellani. Pensò subito che avrebbero potuto indossarli al posto delle loro camicie. Erano un po’ larghi ma si adattavano bene a degli uomini corpulenti come loro. I suoi compagni rimasero sconcertati di fronte ad un’idea tanto bizzarra. Tuttavia, forse per spirito goliardico, forse perchè si stava facendo tardi e non c’era proprio nient’altro da mettersi addosso, s’infilarono quelle lunghe tonache e partirono per la vigna.

 

Lavorarono tutta la mattinata prendendosi in giro a vicenda, ridendo del loro buffo aspetto, scherzando sulla religione e su quegli abiti sacri. Si può immaginare lo stupore e la meraviglia dei contadini di Dercolo che assistettero alla scena da lontano, dalle campagne del loro paese. Alcuni credettero di vedere i parroci di Lover e di Campodenno, nelle loro candide vesti liturgiche, spruzzare le vigne dei conti con la pompa in spalla. Qualcuno si mise pure a gridare chiamando i vicini ad ammirare quell’insolito spettacolo. Questo non fece che accrescere lo spasso e l’ilarità dei vignaioli.

 

A mezzogiorno i tre tornarono al castello per il pranzo. Erano particolarmente soddisfatti perché avevano fatto un buon lavoro e perché si erano fatti un sacco di risate. Nel frattempo i loro vestiti si erano asciugati e poterono finalmente cambiarsi. Lavorarono anche tutto il pomeriggio e quando fu sera si sentirono molto stanchi e provati. Si erano alzati all’alba e venivano da due giornate molto impegnative. Decisero di passare anche la notte seguente a Castel Belasi.

 

Si coricarono molto presto e presero sonno in un baleno. Nel cuore della notte però uno dei tre fu svegliato di soprassalto da un dolore lancinante, come colpito da una violenta sferzata. A quel colpo ne seguirono altri, sempre più forti. L’uomo, inerme al buio più completo, non capiva da dove venissero quelle bastonate. Si dimenava sotto le coperte cercando di schivare le dolorifiche nerbate. In preda al panico cadde dal letto e corse verso la porta, da dove proveniva un fioco spiraglio di luce. Uscì dalla stanza, scese le scale col cuore in gola e corse nella corte del castello.

 

Ripresosi dallo spavento credette d’essere vittima di un feroce scherzo dei suoi dei compagni. Pensò subito che avrebbe dovuto vendicarsi il prima possibile, rendendo loro pan per focaccia. Tuttavia mentre meditava vendetta sentì delle urla di terrore provenire dal castello. Non potè credere ai propri occhi quando vide i suoi amici in mutande correre terrorizzati verso di lui. Anch’essi balbettarono di essere stati aggrediti a bastonate nel buio della loro stanza. Solo allora capirono cos’era successo e un brivido di terrore corse lungo le loro schiene dolenti. Erano stati gli spiriti del castello! Gli spiriti degli antichi castellani si erano destati dal loro sonno eterno ed erano venuti a castigarli prendendoli a bastonate, punendo il sacrilegio d’aver lavorato nei campi indossando degli abiti sacri.

Nel bel mezzo della notte gli sventurati scapparono verso le loro case con le gambe ancora tremanti dallo spavento. Sarebbe passato molto tempo prima di ritrovare il coraggio di passare altre notti a Castel Belasi.

 

Qualche anno dopo uno dei tre iniziò a narrare questa storia ai suoi compaesani, nelle notti d’estate, quando si faceva il filò nelle corti e nelle stalle di Campodenno. In realtà questo racconto più che terrore suscitava nei suoi ascoltatori sarcasmo e ilarità. Divenne una delle storie predilette dai bambini, i quali chiedevano ogni volta di sentire narrare la leggenda dei fantasmi di Castel Belasi.

 

 

 

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